Viaggio in Spagna 6 – Guernica – seconda parte

Il Reina Sofia è un po’ fuori, dopo il Prado, un ex ospedale o una scuola adibita a museo. Abbiamo solo due ore per visitarlo, perché in Spagna, dopo una certa ora in poi (le sei per il Prado, le sette per il Reina Sofia) l’ingresso è gratuito. Non so se accada lo stesso in Italia, ma ne dubito. Mi lascio trasportare da queste piccole cortesie locali, dimentico, allora come ora, le mie idee paranoiche e folli e godo solo di quel che mi trovo davanti.

Il piano terra ha delle installazioni e, tanto io quanto G. il mio amico ci chiediamo se certe opere valgano un museo. Zizek potrebbe provare a giustificarlo, io potrei provare a dissentire da Zizek, ma tre sedie messe lì a caso, per quanto concettualmente legate a profonde riflessioni, per me son poco più di un salotto o di un’anticamera.

Noi siamo qui per altro. Per l’unica ragione per cui probabilmente la gente entra in questa struttura, che per i primi metri di bello ha solo la distribuzione delle stanze, i servizi, le scale e gli ascensori. A piano terra, insieme alle installazioni c’è come una mostra allestista per l’occasione sul franchismo, con documenti della propaganda del dittatore e manifesti di comunisti rivoluzionari. Fumetti, disegni, caricature, locandine per la difesa della repubblica spagnola asservita a Franco. Tante di quelle informazioni che quasi non servono messe lì, tutte insieme, come sono. A me le storie però piace vivermele, inventarle magari, ma doverle ricostruire, in base a testimonianze d’altri, mi sembra molto più falso, ingiusto, inappropriato.

È una giornata tranquilla, in cui succedono tante di quelle cose senza alcuna importanza, ma comunque a loro modo significative che è quasi un peccato ad un certo punto trovarsi di fronte a delle tavole con sopra centinaia di diapositive, da ogni parte del mondo, che sembrano quasi rimproverarmi il mio dedicarmi a musei e persone a Madrid quando c’è tutto un mondo fatto di montagne, monumenti, monasteri, animali che non ho ancora visto e forse mai vedrò. Viaggiare in fondo è solo allontanarsi da tutto il mondo e non avvicinarsi neanche un po’ a quello che si attraversa. Faccio delle rapide foto a delle foto e poi fuggo. L’arte è una distrazione nobile e su, al primo piano ci sono Mirò, Dalì, Goya, e soprattutto…

Mirò è un momento di passaggio, tra le noiose installazioni del piano terra e Goya. Di questo solo alcuni bozzetti, schizzi, carboncini su carta, quasi dei fumetti brevi per il suo secolo, reportage a matita di eventi e momenti più o meno comuni. Goya consola sempre con la sua tragicità e lascia a chiunque arrivi dopo di lui non solo di non poter fare niente di nuovo, ma quasi neanche di poterlo vedere. Il mio amico vorrebbe andare a vedere…ma no, quello è un momento da meritare, bisogna avvicinarcisi con prudenza e devozione, arrivarci preparati e sicuri di quello a cui si sta per assistere e prendere parte, come la prima volta che si fa la comunione, o ci si mette a guidare o si prende l’eucarestia o ci si lanci con un elastico da una rupe. Le esperienze uniche devono nascere segnate dalla sacralità di una primogenitura meritata.

Ci sono dei bozzetti di quanto stiamo per vedere, frammenti vari dell’opera completa, lampadine, fogli di giornale, teste di tori o di cavalli, figure contorte, nero, bianco, grigio. Un collage frammentato che fa quasi più male dell’insieme. E poi…no, no, facciamo finta di niente, anche per scattar delle foto nel caso, fingiamo di non essere qui per questo, “non voltiamoci” gli dico, come se non fosse qui, esordiamo con un “toh” che ce la renda più familiare, che ci renda più benvoluti.

Poi in silenzio pronunciare i nostri nomi e lei, mesta ed austera: “Guernica”

 

guernica

Non ce la faccio a dir “piacere”, non ce la faccio a vederla intera, meglio i bozzetti, fa male ma almeno li si può guardare, lei è troppo, troppa fine tutta insieme. Neanche la macchina fotografica, che è solo una macchina, non riesce a prenderla tutta col suo occhio solo e non perché ci sia gente pagata solo per godere ogni giorno di questa sofferenza tanto da sentirne quasi solo la noia e che impedisce con rigore di far foto, ma perché è troppo mondo, finito, tutto insieme. È come non avesse cornice. Si dimenticano e ricompaiono i Mirò, i fogli di giornale del piano terra, le sedie messe a casaccio in un grande salone, la tv, il cinema nella saletta con Bunuel ed i cinegiornali degli anni quaranta.

Che io sia qua per te Guernica? In fin dei conti, non è quello che mi sta succedendo? Tante meraviglie in bianco e nero, bruciate le une dalle altre, senza una qualunque ma insieme caoticamente in armonia, luci rotte appese e candele come ad invocare aiuto. Lo scheletro di questo viaggio son tori che guardano il cielo, cuori staccati, un’archeologia contemporanea di sempre nuove e varie rovine.

Devo allontanarmi. Chiedo al mio amico, a mo’ di scusa, incoraggiato dal custode che ci informa che il museo sta per chiudere, di dare uno sguardo a Dalì, per compensare la delusione di Mirò. Anche le delusioni tornano utili in questa Guernica.

Dalì fa rabbia: la sua tecnica, l’immaginazione, il suo prendersi gioco di chiunque lo guardi, un senso di limite di fronte a tutto quel mondo che non è mondo. Dalì rincuora di aver visto ed abbandonato, senza che mai c’abbandoni, Guernica. È troppa bellezza Dalì per non amare Guernica per quello che è.

 

uomo invisibile

Stanno chiudendo, bisogna fuggire, lasciare questi enigmi e queste verità brutali, salvarsi in strada. Mentre usciamo vediamo una donna, tunisina all’apparenza che era entrata con noi con un bambino in un passeggino e che adesso lasciava il museo da sola. Che l’abbia abbandonato? Che Guernica glielo abbia portato via? Succedono strane cose al Reina Sofia.

Ho bisogno d’aria e di una sigaretta e di una birra. Dorme, sui gradini dove mi metto a fumare, una guerra fredda nell’afa di Madrid, non si capisce chi attaccherà chi sia il nemico, chi l’alleato, chi sia in casa e chi in aereo. La guerra, ammesso che per questo sia qui, a voler considerare la Guernica il più chiaro degli indizi, è subdola, ti si attacca alla pelle con l’afa della città e ti entra in testa per osmosi.

Provo ad ignorarla.

Mentre siamo lì con G. alcuni italiani parlottano vicino a noi. Li invito a bere qualcosa in quello che è diventato il mio locale preferito, quello della birra a 40c, ma devono andare in aeroporto per un volo che parte di notte, e poi preferiscono mangiare qualcosa lì vicino, grazie comunque, ma no. Riprovo, con un secondo gruppo. La falsità sfrontata e quella cortese son solo due delle alternative possibili per nascondere la verità. Il secondo gruppo, usato come cavia per provare a me stesso una teoria che non ha norme ma che da tempo mi gira in testa, finge interesse, ride anche, scherza, promettono che ci raggiungeranno ed allora ci avviamo, io e G. ad aspettarli. A ciascuno il suo ruolo. Ci troviamo per caso a passeggiare per la Calle de las lettras, scattano foto o calpestando i vari autori lì ricordati a seconda della citazione, senza troppa adorazione né senza mancar di rispetto. Quiroga, Cervantes…altri…Una ragazza bellissima, poco più avanti, beve il suo drink da sola, seduta ad un ristorante troppo chic perché io, imbavagliato e legato dai suoi occhi che non mi abbandonano un attimo , possa fidarmi e provarci. Potrebbe anche starci, sorridermi, parlarmi gentile, così come potrebbe essere uscita giusto un attimo prima da Guernica ed essere lì, solo per aspettare me, per sapere da che parte sto, per conoscere i miei piani, perché mi trovi lì. Troppo rischioso, e poi sarei comunque impreparato, tanto ad un suo no, quanto alla sua curiosità. Proseguo, triste per la possibilità forse sfumata, e ancor di più per la mia incapacità di sapermi muovere in accordo con la città.

 

calle1

Madrid è così. La capisci subito, ma poi, piccoli accenni, lievi sfumature, ti rendono dubbioso, devi riconsiderare tutto e più ancora ti confonde quando torna a confermarti la prima impressione.

Una birra mi farà rilassare. I rumeni sono ancora lì. Scrivo al francese che non viene. Finita la birra vado a recuperarlo ma lui ha deciso di passare dalla parte degli spagnoli ed ora è in giro col pub crawling (gli spiegherò poi che pagare quindici euro per ogni pub visitato, per poter accedere ad una discoteca il cui ingresso costa trenta, non è un grande affare, se i pub da visitare son cinque).

Non so se possa fidarmi di lui. Qui chiunque potrebbe essere un nostalgico franchista ed io non ho l’aspetto di uno a cui il prete rilascerebbe con piacere il certificato di buona condotta. Perché se n’è andato? Perché è in giro con gli spagnoli? L’ho aiutato tutto il giorno ed ora, alla prima occasione passa dalla loro parte. Dopo un po’ rientra; volevano che si portasse dietro un documento per farlo entrare nei vari club. Questo è quello che mi racconta almeno. Decido di seguirlo, mi invita a sue spese a bere. A lui interessa solo di trovare una donna per passarci la notte, dove non si sa, ma è tutto quello che vuole. Ha diciotto anni, gli credo. Non posso sospettare di chissà quali piani un pischello francese che non sa parlare quasi nemmeno la sua lingua, un aspirante cameriere, che tutto quello che sa della Spagna è che non si possono lasciare i soldi per pagare i conti al ristorante sul tavolo in terrazza perché “in Francia sarebbe normale, ma qui in un attimo rubano tutto”. Ha paura anche lui, come me, forse più di me data l’età e l’impossibilità di chiedere anche solo aiuto se fosse in difficoltà. Non posso sospettare di lui. Ci fosse almeno l’italiano con me, ma sembra un così bravo ragazzo lui, legge Nietszche prima di andare a dormire ed è già andato a dormire. Devo star sereno.

Usciamo e, appena entriamo in ascensore, mi dice che non ha più bisogno della stanza per l’indomani, di avvisare la mia amica, che ha risolto con i tipi dell’albergo. Avrei dovuto portarlo dalla mia parte in mattinata, ma non con le mie offerte d’aiuto, le mie due ore di traduzioni, ma spiegandogli tutto, che c’è una strana aria in Spagna, cose troppo normali per poterlo essere davvero, che tanta tranquillità e giocosità probabilmente nasconde qualcos’altro, come il palazzo del Reina Sofia nasconde Guernica. Ed invece no, l’ho visto col suo valigione da quaranta chili per una settimana di vacanza, il suo cappellino blue in tinta con gli occhiali appena appoggiato in testa e girato al contrario. Non pensavo di dover temere demente, adesso che era dall’altra parte non potevo sottovalutare nemmeno lui.

Gli artisti di strada, stasera, non offrono spettacoli per famiglie. C’è chi si infila dei cucchiaini sotto le palpebre o delle forchette nel naso e non continua lo spettacolo se qualcuno si mette a filmare, un’allegra famigliola con gengive rossissime ed occhi gialli, ricoperta, come delle salme, dal catrame, nani con la testa sottobraccio. Arriviamo al punto d’incontro con la guida che i miei mille pensieri, la mia sfiducia nel francesi e gli spettacoli macabri che ho attraversato mi fanno esitare circa la possibilità di continuare la serata con lui o andarmene invece in giro da solo, continuar pure a dar nell’occhio, ma avere almeno il conforto di non essere affiancato da un tizio francese, appena conosciuto, più scattante ed agile di me sicuramente, che da un momento all’altro potrebbe tradirmi o dare un segnale a dei passanti a lui noti e buttarmi improvvisamente a terra o non so cos’altro. Per non parlare del fatto che ci si sarebbe potuti sbronzare con appena quattro euro. Lui insiste, deve sdebitarsi, dice. Io non lo lascio insistere oltre. Prendo le cose per come vengono, rinunciando a tutto oramai, senza chiedermi come possano andare.

“Bonsoir » * dice la guida. Lo avranno attirato così questo bambino sperduto, gli avran detto due parole in francese, gli avranno detto che con loro avrebbe avuto una riduzione alle quattro in discoteca e se lo son portati dietro, l’hanno arruolato ed io l’italiano, conteso come secoli prima tra Francia e Spagna, senza la scaltrezza necessaria per partecipare al loro banchetto.

Li seguo. Ce ne son tanti presi nella rete. Corpi ammassati in fila a caso, come in Guernica, presagi di quello che Guernica avrebbe rappresentato. Entriamo nel primo locale, io e lui, trenta euro restano fuori ; dentro ad attenderci una barista che non fa che accarezzarmi il braccio, una con un corpo bellissimo, seni enormi, che non fa che ancheggiare. La musica non è male. Io resterei, ma abbiamo appena quindici minuti prima del prossimo pub.

Qui a restar fuori son quaranta euro. Lui appena entra viene avvicinato da due ragazze che gli chiedono una foto. Consiglio di fermarci, gli faccio capire che il pub crawling non è un grande investimento e due ragazze che si fermano a parlare con noi sembrano al contrario un ottimo inizio. Lui esita, si lascia convincere. Non è dalla mia parte, ma quantomeno non è più con loro, già più svizzero che francese.

 

* Buonasera

(continua)