Viaggio in Spagna 5 – Guernica (prima parte)

« È lei che ha fatto questo orrore?»
«No, è opera vostra»
(Risposta di Picasso all’ambasciatore tedesco Otto Abetz, in visita al suo studio, di fronte ad una fotografia di Guernica)

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Oggi non dovrei neanche più essere qui, in questo punto di mezzo vicino alla fine, ma continuo a non capire cosa stia succedendo, né perché le cose più naturali ed ovvie siano così piene di mistero, messaggeri di messaggi da intuire, messe in scena senza una logica comune che però sembrano tra loro collegate.

In questo punto in cui sono e non dovrei essere, ci son le cose che succedono e poi ci sono io che faccio succedere le cose.

Mi volto indietro, mille volte ed in qualunque direzione orienti il mio sguardo è come se mai guardassi davanti a me, è un continuo cercar le mie tracce, un dedurre la meta da raggiungere dal verso delle impronte, per essere sicuri ad ogni passo, di seguire un sentiero che intanto si va tracciando e poter dire poi di non essermi perso, indicare la strada alle spalle come testimone e prova della propria provenienza. “Continuo di là, perché è di là che vengo”, indicando con lo stesso avverbio un verso opposto.

I passi che devo ancora fare già li conosco, devo solo raccogliere quelli già fatti. Nel punto in cui mi trovo ora sono io a decidere. Ma perché proprio qui ed ora? Ho scelto io queste coordinate? Se si, non dovrei lamentarmi della mia presenza, se no, come posso dire di aver in qualunque modo scelto.

Una volta lasciata Madrid sarà tutto più semplice, pensavo quel giorno e forse proprio l’essere stato in quel momento all’apice mi ha fatto sentire come se tutto intorno fosse stato prima deserto quasi e dopo abisso. La città sembra essere capitale senza averlo mai desiderato, è capitale perché flemmatica come Valencia e Barcellona, ad esempio non riuscirebbero mai ad esserlo, prima su tutte, a suo modo, per pura pigrizia. Dopo appena tre o quattro giorni ti rende cittadino onorario, ti educa ai suoi ritmi, ti cancella ogni preoccupazione o tristezza senza compensarti mai con altro, ti mostra come perdere tempo sia il modo peggiore per perdere tempo e ti aiuta a farlo.

In realtà è la penultima giornata in città, ma qui dopo un po’ tutto s’assomiglia e poi l’indomani durerà, come oggi, solo poche ore.

Sono nel piccolo salotto dietro la reception che aspetto, valigia accanto, che la nuova stanza in cui, per la terza volta in tre giorni dovrò traslocare, venga preparata. Ad accogliere o a salutare i clienti c’è S. una ragazza tra i venti ed i venticinque anni, carina, capelli castani, lunghi, occhi con un taglio quasi egizio, chiari, bellissime gambe sottili. Io son lì con M., una dottoressa disoccupata della Repubblica Dominicana che dovrebbe cercar lavoro e che invece ascolta soprattutto della musica dal pc e parla con degli amici. Cerco ancora, fingendo speranze, nascondendo un certo disinteresse, che qualcuno possa accogliermi a Barcellona. Intorno alle undici rinuncio e chiedo al gestore dell’ostello se può prenotarmi un biglietto sul bus dell’indomani per Valencia. Risolti i problemi di stampa, torno al mio divano ed alle mie stupidaggini su internet. Sono in Spagna, sto teoricamente viaggiando eppure me ne sto in un salottino di un affittacamere a parlare col mondo usando internet. Non si sfugge, in nessuna era, ai tempi moderni. Più che un vero e proprio viaggio è un tentare ogni giorno di trovare dei nuovi carcerieri ed inventare quotidianamente una nuova fuga. Il divano su cui siedo è il mio nascondiglio temporaneo.

Non passa molto tempo che arriva un nuovo ospite, un francese di vent’anni al massimo, ha con se una valigia abbastanza grande, dimensioni 100x25x60, nero. La sua ignoranza dello spagnolo e dell’inglese mi offrono una possibilità per aiutare Sara nella registrazione e così di parlarle. Le chiedo se possiamo tenerci in contatto e mi lascia come unico recapito quello dell’ostello.

In questo momento, ad esempio, c’era un complotto a muovere tutto, o non ero forse io a tuffarmi in situazioni che mi avrebbero potuto condurre chissà dove? Erano le circostanze ad essere così affascinanti da coinvolgermi o io troppo curioso da investigarle? O la mia indiscreta voglia di sapere è quanto meritasse il loro pianificarmi le varie vicissitudini addosso, e viceversa? Loro chi poi? I polacchi? La polizia spagnola? I bulgari? Sara? Il figlio del noto regista?

Questo francese? Non mi sembra un tipo molto raccomandabile. Non che abbia l’aspetto dei bulgari, nessun tatuaggio, nessun crocefisso in ottone lungo uno sterno, anzi, è un ragazzo con i capelli in ordine, vestiti comuni ma eleganti, un cappello solo poggiato in testa, visiera girata dietro, iphone sempre in mano. Se è un criminale è almeno di alto rango, ma senza alcuno stile tanto aveva paura che gli portassero via il baule con cui era arrivato e chiedeva che venisse custodito in una stanza al sicuro in sua assenza. Ecco, le sue paranoie, non avrebbero forse dovuto dissuadermi dall’aiutarlo? Perché allora mi son messo a cercagli una stanza per il giorno dopo quando l’ostello sarebbe stato temporaneamente pieno? Perché ho contattato una ragazza conosciuta in quei giorni, li ho fatti incontrare? Forse per tutelarmi trovando un testimone? O per un ludico sadismo tutto consistente nel voler coinvolgere una terza persona, lontana chilometri da me, quasi a me stesso sconosciuta, in una storia all’apparenza innocente come la ricerca di una stanza per una notte, ma potenzialmente devastante. In effetti, ripensando alla mia ultima notte a Madrid è come se tutto quanto mi stesse succedendo fossi io a volerlo e nessun altro, a parte me, si ingegnasse a manipolare eventi e persone per tracciare intrighi, stabilire incontri e temi delle varie conversazioni, far trovare in un determinato punto un determinato giorno ad incontrare una determinata persona.

Voglio aiutare il francese per quanto le paure che lo accompagnano riguardo alle sue cose mi coinvolgono in merito alle mie. Vivo, in questo momento in cui parlo di questi momenti, una sensazione a quella che immagino si vivesse cent’anni fa, a pochi giorni dallo scoppio del primo conflitto mondiale. Son sereno, rilassato, ma è come qualunque cosa succeda intorno a me sia un indizio, un’avvisaglia di pericolo. Son tranquillo, ma teso.

Forse è anche perché, a dire il vero io non sarei neanche dovuto venire in Spagna; da qualche mese preparavo un viaggio nei Balcani, per l’anniversario dell’attentato di Sarajevo, per recuperare alcuni ricordi registrati a Dubrovnik da mio nonno o a dagli ufficiali tedeschi che si trovavano lì insieme a lui negli anni quaranta, per conoscere la Serbia, vittima inferocita, ma all’ultimo momento la mia potenziale compagna di viaggio ha deciso di affrontare da sola l’impresa o, meglio, avrebbe volentieri condiviso le spese in Croazia (più cara e sicura) lasciandomi poi libero di fare l’autostop dalla Bosnia in poi (più economica e pericolosa, nel mio immaginario ed in quello del ministero italiano). Così mi son ritrovato dopo pochi giorni in Spagna. La sua, in fondo, era una proposta che in un attimo avevo già rifiutato. Forse, a giudicare da come sono andate le cose alla fine, ci avrei potuto pensare un po’ su prima di farmi trasportare dal primo impulso.

Che poi le cose non sono neanche andate male come potrebbe sembrare dal mio modo di raccontarle. Quel giorno, ad esempio, vado in giro con D. il francese. Lo aiuto a trovar casa, a comprare una scheda telefonica, ci mettiamo d’accordo per far serata insieme così che possa sdebitarsi. Passeggiando ci troviamo di fronte ad un baretto dove vendono birra a quaranta centesimi. La cortesia francese lo porta ad offrirmene una, per essere in pari con il mio avergli dedicato l’intera giornata. Non puntualizzo, non sto lì a considerare il prezzo dei suoi vestiti, il suo iphone da cui parte un auricolare che non lascia mai il suo orecchio, il suo fare da teppistello bene, la sua spilorceria da mangiabaguette. Accetto, ringrazio, proviamo a parlare del più e del meno, per quanto inventare il francese, crearlo all’istante, dopo alcune ore cominci ad affaticarmi.

Evito ogni forma di tensione o paura, anche quando una paura ne usa un’altra per distrarmi. Accanto a noi due rumeni urlanti bevono, scoprirò poi, da almeno tre ore, offrendo un bicchiere a chiunque si sieda al loro tavolo. La ragazza della Guinea equatoriale che lavora lì esce un attimo e guardando ora loro ora un chitarrista spagnolo che è fermo lì a suonare da ore ed osserva che non è una buona idea vendere birra a quaranta centesimi.

Dopo un attimo (qui una paura avrebbe dovuto distrarmi da quella di cui ho in qualche modo descritto in queste pagine) uno dei due rumeni salta dalla sua sedia a quella del mio amico. Lo avviso di stare attento ai suoi bei occhialini ed al suo iPhone. Rido, lievemente teso, fondamentalmente rilassato della scena di fronte a me, mentre mi disseto con lunghe sorsate di cerveza* fresca. Il tipo alla fine si mostra solo molto ubriaco, “latino”, come noi, giocoso e divertito, dall’alcool e dalla vita, senza nessuna cattiva intenzione, se non quella di portarsi a letto una spagnola a cui aveva offerto poco prima una cana**.

Si parla, si ride, tutta un’umanità benevola mi circonda. Mi scuso con il francese perché parlare con gli spagnoli mi risulta più semplice e quasi lo escludo dalla conversazione. Lui non si lamenta. Gli spagnoli mi invitano a parlare.

C’è una coppia, lei di origini bavaresi ma nata e cresciuta in Estremadura, G., che mi invita dopo un po’ che parliamo ad unirmi a lei ed al marito a Stoccarda, a settembre, per l’Oktoberfest. Parliamo della situazione economica spagnola, lei mi dice che da loro si paga quasi il 90% di tasse ed io da italiano mi sento sollevato. Il marito, dopo la festa della birra in Germania, mentre la sua compagna tornerà in Spagna , lui salirà ad Amburgo a prendere una macchina che poi rivenderà a dei cinesi. “Solo cinesi e russi fanno affari in Spagna. A loro una macchina appena usata, purché europea, va bene comunque” Questo mi ha detto.

Un pomeriggio dalla socialità semplice, risate, scambi di informazioni, inviti che non hanno probabilmente niente della promessa ma comunque in quel momento son piacevoli da ricevere. Dopo un po’ arriva un altro italiano che sta nel mio stesso ostello. Andiamo a mangiare qualcosa poi io e lui andiamo al Reina Sofia mentre il francese torna alla sua vacanza in ostello, tutta Badoo e chat, rimanendo d’accordo che ci saremmo visti la sera.

 

(continua)