Ieri in America ci sono state le elezioni di Midterm.
Un pareggio come tanti altri pareggi (calcistici) in Italia, dove la priorità politica era sapere quale città tra Napoli e Milano sarebbe ancora rimasta nell’Europa che conta.
In America il risultato elettorale non ha visto nè vinti nè vincitori, ma considerata l’andata (le presidenziali) e lo svantaggio da cui generalmente parte chi è in determinato periodo al governo (perchè più esposto alle critiche e perchè oggetto di maggiori aspettative dalla parte tanto degli oppositori quanto e più dei sostenitori), a voler assegnare un punto in più io l’assegnerei ai Repubblicani e a Trump (nonostante il loro essere Repubblicani e Trump.
Partendo dall’analisi numerica del dato politico ci troviamo con 5 deputati democratici in più alla Camera (221-196), mentre al Senato i Repubblicani passano con 7 senatori di differenza (51-44). Ad avere le camere unite una ventina di parlamentari in più per i democratici. Tutto sommato una defezione minima, un graffio al tank. (Oggi in Italia la prima fiducia posta dal Governo Salvini-Di Maio ha allo stesso modo perso un appoggio da parte di alcuni parlamentari, ma un accomodante leader leghista ha considerato trascurabili quelle perdite minime.
Ma questo non importa.
Non per l’interpretazione del voto che viene data da media e social. L’aspetto importante dell’evento politico è che una nativa americana (poco importa se l’ultima della sua tribù), un gay (poco importa se tra le fila dei Repubblicani) ed altri rappresentanti di minorità e e tipi sociali “esclusi” siano entrati al Senato o alla Camera. I portatori di istanze civili sono entrati nelle stanze vicino alle stanze del potere. Poco importa che il potere sia fascista o meno, comunista o meno, democratico o dittatoriale. Qualunque natura esprima il potere quel che conta è che quelli che ne sono stati generalmente esclusi ne siano oggi compartecipi, e corresponsabili.