Il mondo delle idee

Questo breve articolo vuole essere semplicemente un’introduzione, un pilot, a quello che sarà in mio ennesimo tentativo come esordiente nel mondo dei blog.

Vorrei solo spendere poche parole per chiarire un pò le ragioni per cui torno a scrivere su internet e quali vorrei fossero gli scopi e le caratteristiche fondamentali di questa pagina.

Nei giorni scorsi mi son trovato spesso a commentare i vari post su Facebook di alcuni conoscenti in merito a questioni politiche. Credo non sia il caso, almeno per il momento di indicare per quale parte politica costoro tengano. Diciamo che lo stile ricorda un pò quello di un partito in relativo calo di consensi nell’ultimo periodo, ma molto forte fino a qualche mese fa.

Le mie critiche, le mie ironie o semplicemente le domande con cui provavo a veder chiariti alcuni punti ricevevano spesso come riscontro una sequela di offese o velate minacce. Il passo successivo è stato quello di non ribadire più direttamente a queste persone, ma semplicemente postare sul mio wall, qualunque idea o pensiero mi attraversasse il cervello e le conseguenze di questa mia nuova politica son state due: da un lato quelli che prima seguivo per chiedere chiarimenti o a cui muovevo delle osservazioni, voltandosi di scatto han preso a “perseguitarmi”, dall’altro, la compulsività con cui esprimevo il mio pensiero ha infastidito troppo altri conoscenti che evidentemente, a causa dei miei numerosi post non potevano più controllare i selfie degli amici, o le massime di autori sconosciuti o di dubbia autenticità, o notizie prese qua e la in rete senza alcuna forma di veritfica. Ero per loro come la bora nel deserto delle loro letture. Cosciente dell’effettivo fastidio che la frenesia con cui scrivevo generava nei “lettori” ho deciso di ripiegare sul blog, in modo da sfogarmi una volta per tutte una volta al giorno (ma anche meno) e chi vorrà semplicemente leggerà o meno quello che vorrei dire (non che “abbia da dirlo”).

Ma qui si inserisce la prima nota polemica, introduttiva e propedeutica a quelle successive (mi spiace ma mi riesce di stimolare la discussione solo avviandola con una polemica, anche quando neanch’io son d’accordo con le idee che esprimo).

La critica alla mia compulsività trascurava uno degli elementi del fatto in se, credo il più importante. Se paragono la mia “produzione letteraria” a quella di Zizek o anche più semplicemente a quella di uno dei miei ultimi amici, mi sembra di essere solo un che twitta mentre Tolstoj scrive “Guerra e Pace” eppure probabilmente l’alta percentuale di frequentatori della piattaforma da me usata fa si che io abbia, proporzionalmente, più “lettori” che non quelli. Per l’atto della lettura, infatti, non è necessaria la scrittura, ma appunto il “leggere”. La mia compulsività, quindi, non avrebbe alcun riscontro se nessuno si fermasse lì a notarla.

Sono cosciente del fatto che una simile premessa può apparire ad un tempo un invito alla lettura del blog ed una delega di responsabilità ma (e spero che appaia evidente con i prossimi articoli), quando io parlo, raramente parlo di me e se lo faccio ciò avviene solo attraverso le mie opinioni che quasi mai riguardano la mia persona, se non in maniera riflessa nelle caratteristiche da me attribuite all’oggetto delle mie osservazioni. Il mio esprimermi, demodé probabilmente, prova a guardare ai sistemi e ad avere una visione più amplia (dall’alto quasi, senza arroganza) delle cose. Così, notare la mia compulsività su Facebook implica, prima ancora del mio scrivere tanto, un leggere tanto e soprattutto un leggere tanto su Facebook.

Scrivo troppo su Facebook, lo ammetto, spero di scrivere meno grazie al blog. Questo implica, nel mio caso, come immagino in quello di tanti, una noia continua, un’alienazione profonda, una mancanza diffusa di un’occupazione concreta e reale. Per essere letti su Facebook è necessario non fare altro. E’ necessario vivere su Facebook. Per mesi le virtualità di molte persone sono state la mia sola compagnia, ma questo è un dettaglio personale (proverò a nascondere col tempo il mio essere io) che solo un amico ha notato. La socialità virtuale è solo la maschera migliore per una solitudine quasi impossibile da percepire, negli altri, con gli altri, in se. Credo sia una forma avanzata quella del capitalismo che porta a isolare le singole persone fingendo loro o facendo loro fingere di essere in contatto con altri, con tanti addirittura. La scrittura sui social network è fondamentalmente un mostrare il proprio diario al mondo e non si vedono sensibilità particolari capaci di cogliere l’assunto profondo e primo di tale modo di “vivere”, ossia l’alienazione da isolamento.

Le logiche capitalistiche ci forniscono insieme una certezza ed un dubbio, esprimibili nella frase “Io sono io” e modificandone il senso semplicemente cambiando la punteggiatura. La routine assorbe ciascuno in “cose da fare e bollette da pagare” come direbbe Springsteen, non vivendo quasi per niente in quella condizione quotidiana che viene definita vita e che è semplicemente un occupare lo spazio (ed il tempo) tra i suoi due estremi. Allo stesso tempo l’alienazione è così profonda che non più il lavoro la genera, anzi questo quasi ce ne distacca pur nella sua ripetitività, ma tutto ciò che non è lavoro. Il divertimento, soprattutto, come Bene e Zizek sostengono. E’ fuggendo “a la macchina” che ci si rende schiavi “de la macchina”.

E’ la vita la forma più alta d’alienazione della vita contemporanea e non la vita vissuta, la vita “activa” (intuendo le idee di un’autrice per molti aspetti a me sconosciuta) ma la vita riprodotta, espressa, copiata. Non nel mondo reale si ha coscienza o si prova ad aver coscienza di se ma in quello virtuale (gli Iphone a tavola o gli Apple store più pieni di un negozio di generi alimentari credo in parte lo provino). Si vive, intensamente si vive, solo nella virtualità; per il resto del tempo ci dedichiamo ad attività “produttive” di materiale da sacrificare ai vari templi della virtualità. I morti, più o meno famosi, sopravvivono in diari che viaggiano in rete mentre sono pressocchè scomparsi nella memoria del singolo, i fatti perchè esistano è obbligatorio quasi che vengano “narrati”.

L’essere diventa l’idea dell’essere. I conflitti tra persone non son più, se non in alcune aree di ruralità umana, tra persone reali, ma sempre e soprattutto e sempre più tra idee. Il mondo delle idee è diventato la grotta in cui vediamo le ombre della realtà. Non si può stare d’altronde con due piedi in una scarpa. Bisogna scegliere o essere scelti, poco cambia.

Dovrei chiudere questa introduzione, che mi auguravo fosse più breve, ma nuovi dubbi sorgono, su cosa sia meglio tra il virtuale ed il reale e cosa più conveniente e cosa più utile dei due. Abbiamo imparato a fuggire e ci siam ritrovati schiavi della fuga, evasi, non lasciamo la prigione della nostra evasione.

Ma ci sarà modo, forse anche tempo, forse non è necessario neanche che ci siano nè l’uno nè l’altro, forse con questo scritto aumento solo il caos, forse, al contrario, sottraggo al mondo del cibo con cui nutrire il suo