Io non so gridare, canto (Vi faccio un regalo)

Io non so gridare, canto
Vi regalo un racconto
Vi dico subito che non è una storia da cui apprendere un qualunque addestramento o linee a cui aspirare.
Io vivo come uno che si trova ogni mattino sulle labbra dell’utero, indeciso e sospeso , alle prime luci dell’alba, se prender su una giacca o andare a passeggiare in sandali, indeciso anche su dove andare.
Le cose a volte arrivano prima di quanto ci si aspettasse, come un giorno di sciopero dei treni che ci sarebbe da aspettare 2 ore e 50 minuti, ma anche quello che arriva tra 10 minuti mi porterà a Bologna ugualmente.
Poi è un leggere il codice civile dell’amore dettato da Flaubert, una M.me Dembreuse negra e vestita da Armani a cui ammiccare, una sedicenne rossa tettuta come la figlia promessa del campagnolo, lolite version 7.0 ed intanto leggere, Pellerin e Rembrant a disturbare, e tu lì a leggere, a fare neanche più il filosofo, ma l’intellettuale.
Vai a casa e prima di tutto si tratta di pulire. I cessi, il corridoio, la cucina, tutto quello che ai tuoi ospiti consentirai di vedere. E poi ti stendi un attimo letto e ti rilassi e rilassarsi è uno scherzo per chi non fa niente, rilassarsi è un gioco.
E il poker è il gioco.
Il poker è un gioco che ti insegna per prima cosa a perdere.
Tu sai di cosa disponi, ma come comunicarlo agli altri, come intimorirli, come suggerirgli che in fin dei conti si possono fidare, come convincerli che va bene un “all in” per questi 50c, che vediamo quanto il gioco per voi davvero vale?
Il poker insegna a perdere, ma non insegna mai a vincere. Vinci da mesi, ma poi il primo pischello prova a chiamare il tuo “all in” avendo in mano sono un 4 di fiori ed un 3 di quadri e le prime quattro carte a quadri vanno dall’uno al 5. Questo soprattutto insegna il poker. Che la tua volontà e la tua intelligenza non vincono il caso.
Ti insegna, il poker, che la vita è sempre altro da quel che vogliamo, che mentre le chiediamo il permesso di assecondarci, ci porta al guinzaglio.
Si, hai parlato con una che ti piaceva 6 anni fa ed è come 6 anni fa, bellissima, di plastica, eterna ed eterea, ma tace e forse proprio per questo è “lei” perché tu per lei di fronte a lei taci, non hai di che dire e se parlassi ad ogni singolo suono non potrebbe che peggiorare.
Come il tipo in Via de Ranocchi a Bologna.
Perché è importante sapere dove succedono le cose. Per sentire il sangue del cuore, è l’aorta che bisogna tagliare, non i capillari delle palme dei piedi.
Poco prima avevi conosciuto una tipa tra i 55 ed i 65 anni, elegante, estone nell’aspetto, con un orgoglio di stoffa a sottolineare la bava di champagne della coppa che le teneva i seni. Di Udine, tedesca e poco altro, quasi a disagio tra suoi simili così diversi.
Tutto un parlar d’avvocati, e relazioni amicali da condonare per altre che mai han costituito reato.
Opinioni diverse e poi il sole si abbassa e l’osteria chiude.
Fortunatamente pochi metri dopo un altro bar e aperto, si parla di Twin Peaks, e proprio ora che tutta questa pacifica normalità dovrebbe allarmare serve un iPhone per riconoscere le paure.
E domande su domande, e la paura diventa curiosità e la curiosità fastidio.
Si torna a bere.
L’aria è calda e fresca.
E si avvicina un cane, all’apparenza cieco, ed un molosso lo azzanna appena gli si avvicina.
“Chiamo la polizia!” è la prima reazione dell’uomo, tradito, da quanto non si smette di dire in giro, sulla sua compagna e su di lui.
“Ho sempre la museruola, è sempre calma” gli dice la ragazza “mi dispiace”
E dal cane azzannato la vittima diventa lei. Dal cane alla donna il passo è breve.
I vigili arrivano con un’ora e 50 minuti di vantaggio sulla polizia che 4 giorni prima, in occasione della finale di Champions non sapevano se intervenire o meno per sedare una rissa.
Il mondo ha le sue priorità e le sue leggi. Prima i cani, poi gli uomini. Poi gli uomini con le leggi sui cani. Così poco si controllano e si rispettano tra di loro che per mantenersi sani un feticcio gli serve. Chi ha ragione soffre il dolore del cane, lui, tradito da un mondo che non ha mai conosciuto, urla i suoi torti, vanta le sue mancanze.
Comunque, si, va bene, tutti, ma io no, io non posso parlare di politica, io non posso conoscere la gente. Come quell’altra che dieci minuti dopo arriva a denunciare un gavettone. Per strada una rissa tra cani stava per finire con un’interdizione dai pubblici uffici e sta cagna rompe i coglioni per un po’ d’acqua all’inizio dell’estate. Ed il giorno prima in chiesa a render grazie per l’acquazzone. Solo le mutande aveva bagnate. A suo dire.
Poi niente, torna la pace e torna il tipo col cane. Gli altri non c’erano, decoravano, ispiravano offerte di oltraggi.
Ma andiamocene, tutto scompare, come il vino lasciato al bancone.
Ma questa storia, di cani e di obblighi, di uomini e di diritti dei cani, la dovevo raccontare.
Io non so gridare, canto.
Canto in via Oberdan.
E lì una donna di un’eleganza indefinibile ed immeritata. Devo raccontarle tutto, solo per questo, credo, mi abbia guardato. E comincio a farla sorridere mentre io sprofondo tra i buchi delle reti di logiche che mi avevano sostenuto e che una volta afferrate, lasciavo, con assenza di bisogno ed indifferenza.
Le chiedo se sia possibile bere con lei un bicchiere, fuori, ma fuori non si può mi fa notare il gestore del locale e se la ragazza beve deve rientrare. Ci son delle leggi in merito. Dal cane alla donna il passo è breve ed una volta dentro sono io a non avere il diritto di dirle due parole.
Vado via fischiettando, svegliando paure, di nature animali che non conoscono la meccanica dei flauti per fischiare.
E di nuovo raccontare tutto, camminare, dopo aver fumato via la ferrosità delle linee, come cadendo volendosi liberare del paracadute che ti avvolgerà sotto tornandoti addosso, come le pensiline dove, già prima di sapere il nome chiedi al tizio se c’è molto d’aspettare.
Poi dispensi consigli, inventi tratte per gli autobus lungo le linee urbane, scegli gli orari, incuti paure che il controllo arrivi quando tutti già da due fermate guardavano il controllore. Che timbri prima lui, a te restano due fermate.
Hai chiamato la fermata, ti volti a destra e vedi una ragazza africana, con quei brufoli in fronte così caratteristici neanche si spulciassero in continuazione. Scarsa di tette, labbra carnose. Ad un passo ed un vetro e tu ad un passo da un vetro che speri non s’apra.
Le sorridi con gli occhi.
Ma avrà capito?
Le soffi un bacio con le labbra, come ci avessi provato.
Se avesse un valore, non sarebbe un regalo.