Un’idea da poco – reloaded

Scrivo giusto per il piacere di scrivere. Scrivo senza disporre di dati o informazioni necessarie per giustificare in qualche modo le mie idee. Scrivo per liberarmi di conflitti mentali e di idee allucinate; quanto scrivo non deve essere ritenuto possibile o realisticamente realizzabile. È una di quelle idee come voler governare il mondo, raggiungere la luna, risorgere dalla morte.

Già prima di scrivere questo articolo, che riprende dei punti già espressi in quello di qualche giorno fa, ho avuto modo di discutere delle idee di cui dirò tra breve, con alcuni amici, ammettendo in prima persona il carattere utopico e quasi fantastico delle idee esposte, appoggiato in questo, nonostante un mio delirante accalorarmi nella difesa dell’indifendibile, dalle idee di quanti discorrevano con me in merito a ciò.

Così ho deciso di pensarci un po’ su prima di esprimere qualcosa di eccessivamente ridicolo ed ho lasciato trascorrere un giorno, rielaborando nella mia mente il contenuto del mio pensiero, trascorrendo allo stesso tempo la giornata nel modo più leggero e spontaneo possibile. È così successo che mi sia messo a discutere con la mia famiglia del più e del meno, arrivando a litigare alla fine con i miei genitori. Il fatto che io al momento non abbia un lavoro, che viva lontano da loro, che spesso loro abbiano dei problemi, nonostante una condizione economica non estremamente difficile, nel sostenere il mio desiderio di vita nel modo in cui provo a viverla.

Per quanto la mia mente sia spesso in molti luoghi differenti della terra con il tempo ho cominciato a prendere coscienza del fatto che la mia persona si trovi, di volta in volta, in un punto geograficamente ben definito della terra e così, mi trovo spesso ad avere coscienza che il mondo esiste e che io esisto al mondo, per la precisione sono a Cracovia in questo periodo della mia vita. So quanto accade in Italia attraverso internet, so quanto accade qua perché lo vedo e ne ho esperienza ogni giorno, non so quanto accada a persone che sono lontane da me pochi metri o centinaia di chilometri per quanto la mia mente ne segua i passi che li fa muovere di minuto in minuto, mentre io dormo e loro camminano, mentre entrambi ci muoviamo in direzioni che, per quanto perpendicolari, non si incontreranno mai.

Saranno meno di mille le persone di cui ricordo il nome, la faccia, il modo di fare, più o meno la voce eppure loro non esistono realmente per me. So che esistono, ma in nessun modo la mia vita può influenzare la loro, così come la loro può influenzare la mia, neanche con le persone sedute accanto a me mentre scrivo non si possono CONCRETAMENTE stabilire delle relazioni che abbiano una qualunque influenza reciproca. Ciascuno vive la sua vita e la sua sola.

Quanto scritto finora è qualcosa di molto astratto, me ne rendo conto, proverò quindi a dare sostanza a quanto sostenuto. Quanto volevo significare con quanto scritto finora può essere riassunto fondamentalmente in due punti:

–          La nostra vita si svolge nei contesti vitali a noi più prossimi

–          In nessun modo la nostra vita può influenzare (o dovrebbe essere influenzata da) realtà umane o non umane, più o meno corporee, che con noi non abbiano alcun contatto di realtà.

Quanto espresso sopra converge verso un’idea politica che, come ho detto precedentemente, è stata già in parte esposta nell’articolo “Will of being naive”, ossia un progetto che faccia muovere la società mondiale, per quanto la mia proposta sia relativa prevalentemente all’Italia, verso la nascita ed il progressivo sviluppo di cittàstato. Proverò ad esporre di seguito le modalità attraverso cui pervenire a questo punto, quali ragioni rendono, a mio parere preferibile questa alternativa a quella della società odierna e alle sue strutture attuali, quali vantaggi può produrre, quali strutture ne dovrebbero rendere possibile l’attuazione, accennando, in chiusura dell’articolo, alle ragioni “umane” che ne sono alla base o ai vantaggi che ne possono derivare.

Partiamo da quanto è avvenuto in Italia negli ultimi giorni e negli ultimi mesi. Gli avvenimenti politici di maggiore rilevanza che hanno caratterizzato il periodo che stiamo vivendo nella mia nazione, sono legati ad un ritrovato interesse per la politica da parte dei cittadini, che si son trasformati da sostenitori di questa o quella parte politica in attori direttamente impegnati nelle decisioni dello Stato. Mi riferisco ai referendum che in primavera hanno impedito la privatizzazione dell’acqua pubblica, bloccato la costruzione di centrali nucleari sul suolo italiano e quello per l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (che il governo Berlusconi aveva in un certo modo cancellato con la LEGGE  7 aprile 2010, n. 51). Precedentemente Beppe Grillo, comico italiano da qualche anno impegnato nell’organizzazione di un movimento politico per il rinnovamento della politica nel mio paese, aveva raccolto le 50.000 firme necessarie per una proposta di legge che limitasse l’eleggibilità di ogni candidato a due legislature, l’espulsione dei parlamenti di condannati in via definitiva e la nomina degli eletti da parte degli elettori e non dai vertici di un partito. La proposta di legge di iniziativa popolare in questione da 3 anni presentata in Parlamento non è mai stata presa in considerazione e stanno per scadere i termini entro i quali la sua discussione ed eventuale approvazione dovrebbe aver luogo, rendendo irrilevante in tal modo, la volontà di migliaia di cittadini del mio paese. Per quanto riguarda l’ultimo dei punti della proposta di legge summenzionata, durante la scorsa estate è partita una nuova raccolta delle firme, per l’abolizione della legge n. 270 del 21 dicembre 2005, al fine di consentire ai cittadini la nomina diretta dei propri candidati. Sarebbero bastate 500.000 perché venisse istituito l’istituto referendario; in poche settimane le firme raccolte sono state quasi 1.300.000.

L’indifferenza con cui la volontà (ed il sentimento di una nazione) viene trattata negli ultimi tempi dal Parlamento italiano mi porta ad avanzare una semplice proposta di legge che consistente nella richiesta di un progressivo trasferimento delle prerogative e dei poteri del governo centrale ai singoli parlamenti regionali e successivamente da questi a dei governi provinciali. Non esporrò i singoli articoli che dovrebbero costituire il testo della legge, ma semplicemente proverò a delineare i contenuti generali dello stesso.

So, come dicevo nei primi paragrafi di questo articolo, che probabilmente quanto andrò esponendo verrà tacciato di eccessivo astrattismo, per questo motivo consiglio la lettura dell’art.1 (“La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”) e dell’articolo 71 (“Il popolo esercita l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli”) della Costituzione italiana.

Stabilità la sovranità popolare e la possibilità da parte degli elettori di avanzare proposte legislative al proprio Parlamento dalla Costituzione (per quanto sempre più irrilevante sembra sia diventato quanto deciso dai nostri padri costituenti), la mia proposta è che ci sia un controllo costante, qualora venissero raccolte le firme necessarie, sui nostri rappresentanti politici ai quali sarà richiesto di discutere, (eventualmente) migliorare (senza snaturare) il testo della legge ed approvarlo entro un periodo di 12 mesi (estendibili a 18 qualora le congiunture interne o internazionali ponessero la necessità oggettiva di occuparsi in maniera prioritaria di altri aspetti della vita pubblica). La mancata approvazione della legge proposta dai cittadini da parte del Parlamento sancirebbe un’inadempienza (l’ennesima) da parte dei parlamentari del trattato costituzionale, nonché il disconoscimento della sovranità popolare ed in ultima istanza dell’accordo sociale su cui si fonda la Repubblica, con l’implicita conseguenza della non legittimità ai governanti di governare e della delegittimazione dello Stato stesso.

Mancando in questo modo il rispetto dovuto alla legge dei rappresentanti politici, caduto il contratto sociale, i cittadini, ritengo, nel rispetto delle fondamentali norme del vivere societarie, potrebbero ritenersi autorizzati ad agire in totale autonomia rispetto alle direttive legislative (in materia di tassazione ad esempio, obblighi di leva, ecc.) rispettando invece le norme del codice penale e delle leggi che altrimenti trasformerebbero la società in un universo di barbarie. In Italia i rappresentanti del popolo, in deroga a qualunque norma, hanno in spregio ogni tipo di legge; se questi devono essere considerati i rappresentanti della società italiana credo sia normale che la realtà stessa si confaccia alla sua immagine politica, oppure, in alternativa, considerando il mio popolo migliore delle istituzioni che lo rappresentano, muovere progressivamente, attraverso processi politici più lenti, ma comunque ugualmente praticabili, verso un’indipendenza politica dalle proprie istituzioni.

Per non porre la questione termini di un aut aut nei confronti della classe politica si potrebbero discutere termini più idonei alla realizzazione di questa delega. Inoltre per non arrivare all’autoritarismo del popoloed agire in conformità con i principi democratici, la legge proposta, discussa ed approvata dal Parlamento dovrebbe successivamente essere ripresentata al popolo, perché con un referendum approvativo con quorum e maggioranza elevati (65-75%) dovrebbe confermare quanto stabilito dalla legge. Lo stesso dovrebbe poi avvenire a livello regionale dopo che le politiche di delega necessarie avessero trasferito i poteri stabiliti dallo Stato alle Regioni, affinché queste trasferiscano poi il loro potere alle singole provincie (nel caso di regioni più piccole per superficie e popolazione come il Molise e la Valle d’Aosta la delega, qualora non ci fossero richieste differenti da parte dei valdostani o dei molisani, potrebbe fermarsi al livello regionale).

Ipotizziamo ora che le fasi sopra descritte si siano concluse con il positivo superamento dei vari passaggi e che debba aver luogo soltanto il passaggio materiale delle funzioni dallo Stato alle Regioni. In una prima fase sarà necessario lasciare allo Stato tutti i poteri, passandoli poi alle Regioni in maniera progressiva, come sabbia che scenda da un bulbo più grande a venti più piccoli. In questo periodo di transizione (che potrebbe ipoteticamente durare 5 anni, periodo durante il quale un governo temporaneo fortemente rappresentativo delle varie realtà territoriali si occuperebbe di alcuni aspetti di rilevanza pubblica), alcuni settori potrebbero essere mantenuti sotto il controllo dello Stato. Questi settori dovrebbero essere:

–          La ricerca e l’istruzione (gli elementi più meritevoli potrebbero mantenere ruoli di una certa rilevanza a livello nazionale anche successivamente, supportando lo sviluppo della nazione).

–          L’energia (pur consentendo delle deleghe alle singole regioni per la produzione di energie rinnovabili o perché i singoli cittadini si facciano produttori di energia, nel rispetto delle regioni vicine e dell’interesse nazionale)

–          L’identità

–          La difesa (in un primo periodo potrebbe essere necessario mantenere un esercito, progressivamente più ridotto in numero e mansioni, per la difesa della nazione; il personale militare dovrebbe essere progressivamente ridotto ed i suoi elementi dovrebbero essere impiegati per il mantenimento dell’ordine pubblico)

–          Il sistema delle telecomunicazioni per le connessioni postali tra i vari centri e per l’informazione circa l’andamento del processo in atto (per quanto questo secondo aspetto possa essere delegato alla rete)

–          La moneta (per quanto si potrebbe valutare in un secondo tempo la possibilità di consentire ai singoli centri di coniare la propria valuta o di superare il sistema monetario)

Lo Stato si farebbe così garante del processo da me ipotizzato nei primi tempi e rappresentando allo stesso tempo la garanzia concreta della tenuta delle strutture da attivare per il conseguimento dell’obiettivo. In ultima istanza potrebbe anche essere considerato come il rifugio cui ritornare qualora questo esperimento politico non funzionasse. Un elemento fondamentale della mia proposta è, infatti, la reversibilità dell’intero processo.

La mia proposta, in fin dei conti, si muove nella stessa direzione di quella degli attuali legislatori con la differenza che implicherebbe la progressiva scomparsa dello Stato centrale, un’estensione del numero dei poteri al momento delegati ai vari presidi territoriali ed un accelerazione del processo (quello del federalismo fiscali auspicato da tanti ad esempio) già in atto.

Alcuni dei vantaggi della mia proposta potrebbero essere:

–          Un più diretto controllo dei governanti sui governati ed un più incisivo controllo dei governati sui governanti; se da un lato è evidente che è più facile esercitare il potere su un gruppo ristretto di individui da parte dei superiori, dall’altro altrettanto rilevante sarebbe il feedback che gli organi politici riceverebbero dai cittadini, essendo più semplice trovare un accordo tra pochi di quanto non sia possibile trovarlo tra molti.

–          La politica economica gestita da una città (attraverso organi ed istituti già sperimentati in passato e successivamente abbandonati e di cui dirò tra breve) rappresenterebbe un più intimo legame con il territorio di quanto non lo sarebbe quella gestita a livello di nazione rendendo gli adattamenti necessari alle varie circostanze politiche ed economiche di più facile e rapida attuazione

–          I costi ed i tempi della burocrazia verrebbero ridotti non essendo necessari molti dei numerosi collegamenti con uffici centrali come quelli esistenti al momento a livello statale

–          Un più attivo coinvolgimento di associazioni ed individui nella vita della comunità e del suo sviluppo

–          Una maggiore apertura e dinamicità del mercato del lavoro

–          Una più equa distribuzione delle risorse

–          Una maggiore dinamicità degli scambi e la possibilità (a voler esagerare nell’utopismo di quanto proposto) di stabilire accordi tali che allo scambio monetario si sostituisca quello in natura (pratiche del genere sono già in atto in alcune città europee e quindi l’irrealizzabilità della stessa è tutta da provare)

–          La possibilità di confrontarsi con l’umano in relazione con quello che una persona è e non in relazione a quanto ha (ed una società equa e giusta dovrebbe avere questo come primo tra i suoi compiti)

Gli istituti attraverso i quali organizzare la vita collettiva potrebbero essere:

–          I falansteri. La città potrebbe essere organizzata come una rete di collegamento tra i vari falansteri, strutture all’interno dei quali dovrebbero essere eliminate i limiti organizzativi e sociali che il modello di Fourier presentava. Il totale coinvolgimento della popolazione nell’attività produttiva (coinvolgimento che diventerebbe spontaneo qualora si volesse attuare una economia redistributiva  di tipo comunistico) consentirebbe una riduzione delle ore lavorative per i singoli lavoratori favorendo in questo modo la possibilità per i singoli di dedicarsi ad altre attività, per poter concretamente rimuovere in questo modo “gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, come recita l’articolo 3 della nostra attuale Costituzione.

–          Le corporazioni. Per quanto suggerirei di incentrare l’attività produttiva delle singole città su merci  la cui maggiore qualità sia universalmente riconosciuta (salumi in Emilia, formaggi a Parma, vini nelle varie province, vetro a Venezia, tessuti a Firenze, macchine a Torino, ecc.) si dovrebbe organizzare socialmente il lavoro nelle singole comunità (aspetto questo di cui mi occuperò probabilmente in un articolo successivo)

–          Soviet: dovendo superare i limiti del falansterio secondo la formulazione di Fourier, l’introduzione dei soviet, che insieme alle corporazioni possono anche svolgere la funzione di portatori di istanze politiche a livello cittadino, consentirebbe una gestione democratica interna alla singola attività agita dalla collettività

Gli istituti sopra presentati possono e saranno sicuramente considerati anacronistici ed il loro potenziali utilizzo destinato al fallimento come si ritiene sia accaduto nei secoli scorsi. Per quanto possa dirmi parzialmente d’accordo con tale interpretazione nel caso delle corporazioni, la cui reciproca conflittualità ha sicuramente portato ad un declino delle loro strutture (per quanto parlerei più che altro di trasformazione e scomparsa delle stesse per le mutate condizioni storiche e sociali), altrettanto non mi sento di fare nel caso dei Soviet e dei Falansteri, organismi potenzialmente funzionanti all’interno di società che ne favoriscano l’attuazione. Dichiarare che uno stile di vita, una determinata organizzazione del lavoro, un sistema politico sociale e politico siano fallimentari solo in funzione dei suoi esiti storici credo costituisca un giudizio di valore arbitrariamente imposto da un paradigma che, nel scontro/confronto, si sia rivelato temporaneamente vincente, come ad esempio quello che nei decenni scorsi ha contrapposto capitalismo e comunismo.

In quest’ultima parte dell’articolo proverò a dimostrare come secondo me questo principio possa essere considerato vero solo in funzione dei suoi esiti storici, ossia che il sistema liberalista e capitalista si siano andati affermando vittoriosamente su quello comunista, ma che nei fatti non sembra la tenuta del capitalismo stesso sia di se possibile nella realtà.

Se Smith poteva sostenere più di 3 secoli fa che l’iniziativa privata avrebbe portato all’arricchimento del singolo e successivamente a quello dell’intera società, oggi è lampante che, se all’accumulazione di ricchezza da parte di uno non corrisponde la redistribuzione delle stesse tra tanti, in ultima istanza si otterrà una polarizzazione delle ricchezze stesse nelle mani di pochi e la messa in stato di miseria di tutti gli altri.

La recente crisi economica mondiale prova ulteriormente la tendenza al fallimento del sistema politico ed economico nel quale ci troviamo a vivere, estendendo la povertà a popolazioni un tempo benestanti e portando di fatto, per quanto lo si voglia o possa negare, alla trasformazione dei cittadini in sudditi per i quali spesso l’esistenza non è un vivere la vita, ma un sopravvivere alla stessa.

Quanto un tempo costituiva un indice di ricchezza non può essere più considerato tale e la delega di beni, risorse, scelte a banche, istituzioni monetarie o governi si è progressivamente rivelata essere una volontaria rinuncia alle stesse.

La mia proposta consiste nel percorrere una strada troppo presto abbandonata in passato, forse a causa di una certa immaturità nella gestione delle scelte operate, forse perché era necessario attraversare guerre e crisi delle dimensioni di quelle attraversate dall’umanità negli ultimi 200 anni. Si tratta di offrire un’alternativa all’attuale sistema di vita, provare a razionalizzare e conferire alla vita una dimensione che le sia più consona, magari rinunciando a desideri troppo grandi ed imparando a vivere, ma pienamente, di quel che si ha. Da sempre la storia dell’uomo è stata incentrata al desiderio di crescere, di estendere i propri domini, di conquistare nuove terre, come  se poi mai alcuno sia riuscito in realtà ad imporre davvero il proprio volere su più di 3 o 4 persone alla volta (ad essere ottimisti) e se mai piede umano sia riuscito a coprire una superficie maggiore di quanto grande non fosse la sua pianta. Disponiamo di risorse quantitativamente numerose in misura tale da poter correre il rischio di frenare, parcheggiare la macchina e provare a camminare per vedere se l’ingorgo in cui ci stiamo imbottigliano non possa essere più facilmente superato camminando un po’. Han visto più cose Marco Polo e Gengis Khan a piedi o a cavallo di quante chiunque di noi ne potrà mai vedere. Considerando che il traffico è fermo, si dovrebbe solo scendere e camminare un po’ e se fosse saggio e necessario, se il flusso riprendesse, si potrebbe sempre tornare in macchina e mettersi a guidare.

 

P.S. Quanto esposto finora è da considerare solo come ipotesi di un esperimento che potrebbe tranquillamente essere esteso o annullato in funzione dei risultati che riuscisse a conseguire.  Gli aspetti concreti di quanto esposto non sono materia dell’articolo non essendo io un legislatore né un economista per poter affermare con precisione come operare al fine di conseguire gli obiettivi suggeriti. Immagino che di strumenti atti a tali scopi e di gruppi che già praticano uno stile di vita basato sui principi presentati ce ne siano numerosi (personalmente ne conosco alcuni), si tratterebbe solo di estendere queste idee a contesti più ampli o di coordinare le varie esperienze nella direzione proposta. Se invece questo articolo fosse considerato solo un insieme di principi folli, che dire? Ho solo espresso la mia follia, godetevi la realtà.

 

P.P.S. Credo alcune idee siano ancora condivisibili per quanto non credo l’animo umano potrà mai portare alla realizzazione di un piano simile

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