Viaggio in Spagna 8 – Il giorno del turista

birmano+3

 

Provo a cambiare atteggiamento, risalendo i giorni, quasi sapendo cosa succederà o conscio di quanto è già successo.

Oggi regali. È solo l’ennesimo tentativo di avvicinamento, reciproco, tra me cugino straniero e gli indigeni. Incontri e regali. Scuse preventive e dovute, riconciliazioni di buon auspicio e saluti. Non ho nessun souvenir per quelli che mi hanno aiutato prima di partire e che forse mi accoglieranno al ritorno. Vorrei solo comprare delle scarpette da bambino ed un pelouche. Dovrebbe comparire la persona giusta a cui regalarle, ma non ci sono garanzie in merito.

Comincio a camminare prestissimo per le strade, madrileno e straniero, a cercar negozi, a comparare prezzi.

Sembra che anche in Spagna, come in Italia per i ragazzi e gli uomini, calcio a parte, non ci sia nessun negozio che si interessi del loro vestiario.

Sono le donne a mandare avanti l’economia, con i loro consumi e con le tariffe agevolate a cui prestano la loro manodopera. La logica del mercato moderno si basa su questo, ossia sul fatto che il lavoro, da un lato venga “dato” e dall’altro “prestato”. Il tributo in plusvalore consegnato al proprietario o all’imprenditore è solo un segno vago di una vecchia gratitudine.

Le grandi catene di distribuzioni hanno di tutto per tutti (per quanto il settore “donna” sia sempre più ricco), ma vorrei evitare di comprare qualcosa che chiunque potrebbe comprare. Tra gli acquisti, che mi riprometto di fare, c’è un ventaglio spagnolo, ma posticipo, mi racconto che ne troverò comunque sempre ovunque e che non è indispensabile comprarlo subito. E se poi lo rompessi? E poi, apprezzerebbe mia madre il fascino di un ventaglio spagnolo senza le palme e le strade sterrate ed i paesaggi di questa terra, senza sentire un’arsura che ti assorbe e ti rende parte di se?

Tornerò, forse un giorno e mi occuperò dei souvenir.

Son giorni ormai che mi consiglio di fuggire e progetto di tornare. Per giorni non farò che questo. I souvenir, in fondo, non son che bandierine da tenere in casa per ricordarsi delle conquiste che ci siamo concessi, per qualche giorno, negli anni, mentre adesso non so se questo mio star qui abbia alcun termine o ragione.

Ci penso tanto che non ci dovrei più pensare.

I pelouche son giusto dietro l’ostello. Non quelli che avrei voluto, ma comunque carini, coccolosi, degli animalucci di quelli che sicuramente piacciono. Alcuni sono anche abbastanza originali, da mostrare come trofei di caccia ma, onestamente, poco pratici per un abbraccio; gambe rigide, tenere orecchie appuntite, troppa plastica per dirsi pelouche. Scoiattoli, orsi bianchi, gatti, leoni, scimmie, piccole iguane, conigli, cani, balene, elefanti. Tra di loro perché ci sia una qualche differenza di valore, si adotta come discriminante non la specie o la razza, ma l’età. Più vecchio, quindi più grande, quindi di maggior valore.

La Spagna mi sta riconciliando, da Calimero in poi, con gli animali. Non che prima li odiassi, ma adesso quasi riesco a tollerare anche quelli che li amano spesso più degli umani. Quello che ancora non riesco a considerare seriamente come attività umana, non è più la cura di un animale, o il regalarne, di vivi o di finti, ma l’idea di acquistarne.

Mi annoia questo giorno, eppure la routine che gli chiedo di offrirmi, considerati i giorni precedenti e quelli a seguire, è quasi un rifugio che ho sperato mi venisse concesso.

L’acquisto è un’attività semplice. Si entra in un negozio, si guarda un po’ la merce, la si prova, la si compra e ci si saluta. Per me è così almeno e non so se sia corretto o scortese far così. Meglio far perdere tempo ai commessi con mille domande, chiedendogli dei suggerimenti, simulando un desiderio ed un interesse che è già quasi bisogno di comprare quella cosa lì e solo quella, oppure in tre minuti, chiedere di quello che cerchiamo e se c’è bene altrimenti salutare educatamente e cercare altrove? In che modo mi mostrerei più perditempo? In che modo più determinato ed interessato?

Il fatto è che questi animaletti son così carini. Son credibile nel dirmelo, spero di esserlo anche nel dirlo. Mi piacciono davvero tanto. Senza alcuna ironia. Ora il mio problema non è con loro, ma con i soldi per comprarli. Anche la tenerezza si compra e costa, ed in circostanze come queste, sembra essere anche abbastanza cara.

A vincere è un gatto, panzone, con un pelo striato di ocra e di giallo su un fondo bianchissimo, pelo morbidissimo, da abbracciare la notte in mancanza di meglio e lo guardo con gli occhi di chi pensa che sia difficile trovare di meglio. Gli stessi occhi di chi non vuole farsi assorbire dallo stress della selezione artificiale.

Lo compro. Completato l’acquisto mi sembra di meritare delle informazioni per trovare delle scarpe per un bambino di tre anni e mi fan sapere che l’unico negozio in zona ha chiuso giusto due settimane prima. In centro, a Madrid, in strade affollatissime, dove tutte le attività, se non son piene, sono almeno visitate da turisti più o meno curiosi e danarosi, non si trovano due scarpette per un bambino di tre anni.

Cercherò le scarpe nel pomeriggio. Torno in ostello per lasciare il gattino (una gattina, sfortunatamente, in realtà). Devo tornare anche per vedere se a giorni potrò spostarmi a Barcellona, o se in alternativa dovrò tornare a Valencia, o ancora se non sia meglio cercare un collegamento da Madrid con l’Italia. Qualunque cosa sarà pur sempre meglio dello star fermo qui tra vetrine o dietro delle vetrine.

Arrivo nelle varie città, ogni volta, con l’intento di fuggirne. Credo sia un calco della prima impressione che mi ha fatto Bologna, anni fa, un porto di mare, dove approdi per ripartire. Non ricordo più se l’abbia già detto (son passati dei giorni da quando ho messo mano a questo diario di viaggio), ma io sono una persona che mette radici prima di mettersi in viaggio.

Per rendermi meno penosa la ricerca di alternative, senza farle crescere senza controllo, senza che io aggiunga confusione a quella che comunque mi ha accompagnato fin qui e che aspetta solo che io esca per confondermi ancora, mando un messaggio ad una ragazza che mi avrebbe dovuto ospitare   e rimaniamo d’accordo che da lì ad un’ora potremmo pranzare assieme. Convincerla è stato semplice, accettare le sue condizioni un po’ più difficile, come per me limitare le mie richieste.

Essere un semplice turista è stata una copertura che ha comunque retto poco agli occhi di quelli che mi sono intorno. Il mio voler passare inosservato ha attirato la loro attenzione. Il mio desiderio di scomparire ha concentrato su di me i loro sguardi. Un unico obiettivo puntato contro di me. Come quello della tv che si è appena presentata alla reception.

Sono venuti per un servizio nel quale avrebbero parlato di quanto fosse facile trascorrere una giornata a Madrid con meno di venti euro. Alla telecamera si può solo mentire, così, una delle ospiti, sarebbe stata invitata a dire che dormiva lì per tredici euro quando in realtà la stanza più economica costava diciassette. Convincere questa ragazza, M., un medico colombiano temporaneamente senza lavoro è stato abbastanza difficile. Lei insisteva per evitare di comparire in tv così la reporter a chiesto a me e ad un altro ragazzo se per caso parlassimo spagnolo. Lo spagnolo ha detto di no, io, pensandomi già in un film di Almodovar (che sicuramente mi avrebbe per caso visto in tv e si sarebbe interessato alla mia espressività corporea e facciale), ho arrogantemente risposto alla domanda nella loro lingua. “Si”, in fondo, dovrebbe essere abbastanza uguale nelle due lingue come suono.

Mentre la giornalista mi intervistava, sulla velocità della connessione internet, sulla qualità dei servizi, sulla mia contentezza nel trovarmi a Madrid, io mi concentravo sullo schermo del computer. Mi rasserena, adesso, pensare che la mia intervista sia stata tagliata perché non guardavo né lei né la telecamera. La seconda ipotesi che mi è sembrato più logico avanzare era quella secondo la quale la mia intervista serviva solo a rendere meno timida la colombiana, che sarebbe stata intervistata subito dopo di me, e rendere lei la figura centrale del servizio con una piccola parte, aggiunta all’intervista, in cui avrebbe dovuto mentire ancora, fingendosi impiegata alla reception. La terza ipotesi, quella che una mente sensata e meno paranoica della mia, ma non per questo più attenta ai dettagli ed alle circostanze, considerati i giorni i giorni precedenti e quelli a seguire, consisteva nella necessità degli spagnoli o di chiunque altro stesse partecipando a questa studiata messa in scena, di localizzarmi, di sapere dove mi trovavo, dove dormivo. Seguire i miei spostamenti. In serata a quest’idea si sarebbe legata la delusione per il taglio della mia intervista nella messa in onda del servizio.

Esser divi è una prospettiva che affascina tutti, anche perché Warhol ce l’ha promesso.

Più tardi, seduto al tavolo assieme a J, la ragazza che avevo contattato, mi sarei mostrato felice di quanto mi era successo poc’anzi in albergo, contento di essere a Madrid, lieto di conoscerla, grato nei suoi confronti per avermi fatto conoscere un ristorante, rigorosamente in pieno centro, dove con dieci euro potevo scegliere un primo, un secondo, un dessert ed una qualunque bevuta.

“Oggi” però sono io al centro dell’attenzione. Il mio fare acquisti deve davvero averli messi sull’allarme.

  1. è una ragazza un po’ corpulenta, con un bel seno, labbra carnose e capelli selvaggiamente mossi. A tavola fumo e, puntando il fumo che sale dalla sigaretta sbircio nella sua scollatura. Questo non la offende o forse non ci fa caso o semplicemente non se ne accorge.

Comincio a parlarle dicendole che mi spiace per averla in qualche modo turbata chiedendole, mentre ci scrivevamo precedente, di vederci un paio di giorni e che davvero sarei stato felice di conoscere anche il suo ragazzo. Mi confessa di essersi davvero spaventata per questo mio approccio ma che incontrandomi si è tranquillizzata e che finalmente poteva confessarmi la sua menzogna. Tre anni prima stava per sposarsi quando lui dopo una litigata, ad un giorno dal matrimonio l’ha lasciata. Da quel momento, a suo dire, la sua vita è cambiata in meglio. Cambia tre o quattro ragazzi al mese, storie brevi, senza nessuna seconda intenzione, deludenti dopo poco ma comunque entusiasmanti. Ricordi da relegare al capitolo “hobby” o “abilità” di un curriculum in continuo aggiornamento. Il fatto che lei sia, in un certo senso, come sperava io non pensassi lei potesse essere, mi confonde. Avrei scoperto che non esiste nessun ragazzo in realtà, come mi aveva detto in chat, ma che solo per limitare le mie premesse e per tutelarsi se n’era inventato uno. A pensarci adesso, forse, tutto quello che mi è successo è solo quello che ho richiesto che mi succedesse. Deludono comunque le speranze quando, in un modo o nell’altro, non sono più tali. Non mi piace, me ne convinco. Le convinzioni sono più consolatorie delle speranze spesso, come quella che questo sia l’evolversi di un qualche complotto o piano ai miei danni, piuttosto che non lo sia.

Comincia a far domande. L’avevo contattata per un posto letto per alcune notti e mi ritrovo ad essere quello col faro puntato in faccia, per l’ennesima volta, durante un interrogatorio.

“Perché sei a Madrid? Hai visitato altre città in Spagna? Vuoi visitarne altre? Quanto ti fermi? Che lavoro fai? Studi? Ti piace la Spagna? Ma è vero che voi italiani siete romantici? Fai dello sport? Ascolti della musica? Leggi? Viaggi tanto? Che lingue parli?…”

Rispondo a tutte le sue domande. Divertito da una bambinona di trent’anni curiosa come una ragazza di dodici. Non badavo neanche tanto al contenuto delle risposte. Rispondevo correttamente a quanto mi veniva chiesto, ma non avevo alcuna strategia per conquistarla o colpirla in qualche modo. O meglio, una strategia ce l’avevo, la peggiore di tutte, considerati gli esiti personali ed il complotto generale. La sincerità.

“Una vacanza, solo una vacanza. Son stato a Valencia prima, vorrei visitare Barcellona (dopo questo passaggio lei si attiva per mettermi in contatto con degli amici di Barca senza alcun esito), ma se non riuscissi a trovare ospitalità lì probabilmente rientrerò, a Valencia o in Italia. Dovrei andar via da Madrid tra qualche giorno. Al momento non lavoro ma sto preparando un certo progetto, vorrei finire il mio secondo corso di studi prima di tornare a lavorare, sperando che sia possibile. Se mi piace la Spagna? Ho visto poco, bella e sospetta, come tutte le cose belle mi verrebbe da dire se questo non fosse un dialogo tra persone convenzionali. Non faccio sport da tanto. Ah, tu vai in palestra? Si vede, hai un corpo tonico e forte. Ascolto un po’ ogni genere di musica e se mi capita mi piace leggere anche. Quante lingue parlo? Nell’insieme direi cinque, alcune le invento, altre le ricordo appena, altre le dovrei recuperare completamente.”

“E circa il romanticismo degli italiani?”

“Cosa vuoi che ti dica? Se ti fa piacere sentirlo confermo la tua ipotesi con le parole e con i fatti. Non so quale sia lo standard spagnolo di romanticismo. Se si tratta di uccidere tori o elefanti no, gli italiani non son così romantici, troppo pigri anche rispetto a voi per esserlo. Se si tratta di comprar regali per qualcuno i cui occhi renderanno un regalo un spreco, beh, è già più probabile. Di base credo gli italiani siano più latin lover che dei soggetti “romantici” nello stile. Vivono di reputazioni, mentre le infangano.”

“Non capisco quello che dici. Ascolta, che programmi hai per il pomeriggio?”

“Non saprei, facciamo un giro a casa tua?”

“Per cosa?”

“Sottoporre alla prova dei fatti le voci sul romanticismo italiano”

“Non capisco molto di quel che dici ma mi affascina la vostra lingua”

“Si si, lo so, non io potrei mai piacere, ma il mio essere italiano. C’è tanto di quel razzismo di questo tipo nei miei confronti ogni volta che vado all’estero. Allora, andiamo da te?”

“Ma no, per chi mi hai preso?”

“Sei stata tu a dirmi dei tuoi tre amanti al mese. Siamo all’inizio d’agosto, magari potresti portarti avanti con la collezione”

“Ma dai…” ride lei

“E allora niente, dovrei comprare delle scarpette per un bambino”

“Per chi?”

“Un bambino che neanche conosco”

“E perché devi?”

“Una lunga storia. Voglio, più che devo. Solo che sembra non abbiate bambini in Spagna a giudicare dai negozi di scarpe per bambini che ho, o meglio, non ho visto in giro”

“Possiamo andare all’H&M, lì sicuramente ci saranno”

Andando via rimprovera degli zingari che si erano avvicinati ed urla ai camerieri di recuperare in fretta i nostri soldi prima che gli stessi glieli portino via. Anche il francese mi aveva messo in guardia a proposito degli zingari dicendo che in Francia mai si sarebbero avvicinati a dei soldi lasciati sul tavolo di un ristorante, ma in Spagna…Tutta questa diffidenza nei confronti dei Rom non fa che raddoppiare i miei sospetti ed i miei dubbi, anche in una giornata dedica alle attività di routine per un turista. Non mi fido dei Rom, né di chi mi mette in guardia nei loro confronti.

Andando verso uno degli empori di vestiti identici in ogni parte del mondo, come il sistema li vuole, incontriamo per strada bande organizzate di sciuscià messicani, residui post bellici e post coloniali. Mi guardano e mi invitano con gli occhi a sedermi per lustrarmi le scarpe, ma anche ad averli ai piedi dei mocassini il caldo madrileno scioglierebbe il lucido in meno di cento metri di trattini alternativamente tracciati sul marciapiede. E poi, con quella pelle così poco europea, zingara a suo modo, non me la sento di sedermi ad uno dei loro scranni. Nei loro occhi c’è come una rabbiosa minaccia. Tuttavia c’è anche, non so, come un timore nel parlare pubblicamente di quello di cui mi potrebbero parlare. Ma come fare lì, nella via più commerciale di Madrid, sotto gli occhi di tutti. Forse la mia paura è solo imbarazzo, forse dovrei avvinarmi, forse…

“Io d’inverno mi faccio lustrare le scarpe almeno una volta a settimana” dice J. “fanno un ottimo lavoro questi messicani”

“Se le vieni a lustrare una volta la settimana d’inverno, ed immagino tu ne abbia tante di scarpe essendo una donna, non fanno poi davvero un ottimo lavoro” provo a scherzarci su io, anche se in realtà penso “sicuramente il governo per cui mi ha detto di lavorare per una busta paga da fame le ha promesso un aumento il prossimo mese se riuscirà a compiere una certa qual missione o se sarà capace di strapparmi delle informazioni o quantomeno se per un giorno potrà tenermi lontano da quelli che, non so, magari, forse, potrebbero…”

Più della violenza, la cortesia mi è sospetta. In questo esatto momento, di descrizione e di cosa descritta, l’aiuto mi è più sgradito dell’ostacolo.

Ci vogliono un paio d’ore per trovare il negozio di scarpe. Poi lei va via, a raggiungere un’amica mi dirà.

Io rientro in ostello senza nessuno a cui regalare quello che tanta fatica mi è costato trovare.

Nella camera in cui son stato spostato c’è una ragazza tedesca che è in viaggio con la madre in sostituzione del compagno della stessa che ha paura di volare. Facciamo due chiacchere. Le chiedo se posso togliere i pantaloni e dormire un po’.

“Fa come se fossi a casa tua” mi dice sorridendo maliziosa come un’esperta Lolita prima di scendere sensualmente goffa nella sua arianità dal letto a castello sul quale era stesa a leggere. Le sue gambe lunghe potrebbero toccare il pavimento in due movimenti, ma lei, sporgendo in maniera involontariamente provocatoria e sensuale il suo piccolo culo rotondo e germanico poggia il suo piede da tagliaboschi nano su ogni gradino.

Ci proverei anche. Ma son stanco e per oggi con le donne ho chiuso.